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IL LADRO DI GALLINE

  Novella per compagni di viaggi diversi…

 Paolo alla mattina si alzava sempre di buonora. Il chicchirichì del gallo era per lui il richiamo a portare da beccare alle sue galline livornesi. Le curava in ogni dettaglio perché a tavola amava quella carne bianca, rosea.

Anche quel giorno compiuto il suo dovere, uscì di casa per andare in paese a fare compere. Davanti al tabaccaio trovò un suo conoscente, Giorgio, uno di quelli che definisci “mio paesano” perché lo conosci da sempre ed è nato nel tuo paese. Era un po’ più giovane di lui. Era uno di quelli che in piazza vantava sempre la sua bravura ma in realtà sembrava uno “sbruffonetto”. Giorgio vide Paolo e lo chiamò. “Scusami Paolo ma devo chiederti un favore”.

Paolo sorridendo come faceva sempre con tutti rispose: “Dimmi.”

“Sono rimasto senza mais e so che tu ti fai lo spezzato, potresti darmene un sacchetto da 10 chili. Te lo pago. E’ solo per arrivare a lunedì, martedì, quando apre il commerciante.”

Paolo non si fece pregare e rispose di getto: “Vieni quando vuoi, io tra mezz’ora sono a casa.”

E così avvenne. Giorgio dopo circa un’ora era a casa da Paolo a prendere lo spezzato di mais che gli regalò, senza però fargli vedere le sue livornesi. Belle, in carne con le piume luccicanti, pronte per allietare le sue domeniche con una polenta fatta con la farina di una volta.

Passarono tre giorni e alzatosi alla stessa buon’ora davanti al recinto delle sue livornesi vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere. La voliera era vuota, il cancellino aperto.

Corse in casa per dirlo a sua moglie. Silvana vedendolo sconvolto cercò di tranquillizzarlo. “Stai calmo domani andiamo a cercare dove vendono le galline come le tue.”

“Le mie galline me le facevo da solo, con quel Gallo che avevo solo io. Me le fecondavo da me le mie galline.”

La giornata passò a pensare e ripensare chi potesse essere stato, ma nella testa non passava nulla. Saranno stati dei foresti, ma chi sapeva che dietro casa c’era una voliera con le livornesi?

Il tempo passava ma l’amarezza di quel furto gli tornava in ogni istante della sua giornata.

Dopo circa una settimana Paolo si ritrovò in paese allo stesso posto, davanti al tabaccaio e rincontrò Giorgio, che come fosse un amico di sempre lo invitò a pranzo a mangiare. Non se la sentì di dirgli nulla delle sue galline, rimase però sorpreso che il suo compaesano con uno slancio mai visto lo invitasse a mangiare. “Mah!! visto che domenica non posso mangiare la mia gallina, mangerò quella di Giorgio, E poi sento che va vantandosi che lui ha le galline più belle del paese”.

Paolo e Silvana arrivarono puntualissimi. “Non si fanno mai aspettare quelli che ti invitano”.

Arrivò con la Ypsilon e la parcheggiò nell’angolo del cortile. Sceso dall’auto l’occhio gli cadde proprio sulle galline che starnazzano in un recinto di rete metallica. Con sorpresa riconobbe le sue galline. Quelle livornesi le aveva solo lui. Non sapeva cosa fare. Silvana capì dall’espressione di suo marito quello che era accaduto. Lo tranquillizzò “lascia stare ne parliamo a casa.”

Mangiò quella gallina senza mai fare un sorriso. Dopo neanche un’ora inventò una scusa per lasciare quella casa: “tornava da Roma suo figlio che non vedeva da un mese.”

Arrivato a casa recuperò tutto l’accaduto. Giorgio venuto a prendere lo spezzato per vedere le sue galline e tornare di notte a rubargliele... e il pranzo per fargli sentire il sapore delle sue galline.

Il mattino seguente andò al mercato a prendere alcune livornesi, poi si recò da suoi conoscenti che abitavano in un paese vicino che sapeva allevare galline di razza e li convinse a vendergli un gallo. Tornò a casa e per la prima volta rinforzò la voliera e mise il lucchetto al cancellino.

Quando incontrava Giorgio lo salutava come si saluto un foresto, senza rivolgergli la parola. Ma un bel giorno Giorgio lo fermò e gli chiese se era disponibile ad allevare qualche gallina insieme. Lui avrebbe messo a disposizione il suo bel recinto. Paolo sorrise e rispose: “io amo le mie galline e la mia soddisfazione è allevarle con le mie mani.” E se andò senza voltarsi.