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SENZA RADICI NON CRESCE NEMMENO IL RECOVERY FUND

Per quasi un anno le parole più usate dal Governo e dal Parlamento sono state certamente “Coronavirus" e “Recovery Fund – Plan).

La prima assume sempre più il significato di “bomba” dalla quale discende il nostro essere in guerra. Il Recovery Fund invece evoca il piano Marshall che nel dopoguerra, dal 1948 al 1951, favorì la ripresa Europea e quella del nostro Paese. Un aiuto che per l’Italia in quattro anni ammontava a poco più di un milione e duecentomila di dollari. L’Italia ricostruì, senza 320.000 giovani morti in battaglia e quasi un milione di mutilati e prigionieri. Gli effetti sulla psiche nessuno li ha mai quantificati.

Tutti pensano che il Recovery “dovrebbe” rappresentare il progetto più ambizioso per riavviare il sistema Italia e il sistema Europa.

Un progetto che però non viene calato in un contesto di “ricostruzione” strutturale e sociale dell’Italia, ma di strumento di modernizzazione del nostro Paese.

Un Paese, il nostro, che trascina in sè ancora tutte le contraddizioni e le conflittualità di un novecento mai finito. Un Paese che dà il peggio di sè quando presenta la propria classe politica, ed il meglio di sè quando esporta intelligenze e le eccellenze del Made in Italy. Quando esporta, cioè, il lavoro italiano.

L’Europa madre e non matrigna, invocata e beffeggiata, adulata e offesa con un colpo di reni sembra, almeno per un istante aver recuperato, nella pandemia, il “senso” della Sua esistenza. Prima con Draghi ed oggi con la Commissione ed il Parlamento, l’Unione Europea ha messo sul tavolo risorse rilevanti che dovrebbero essere utilizzate per ri-costruire un paese efficiente, solidale e moderno.

Ma sull’altare di una politica, tesa alla ricerca del “potere”, conservato o conquistato che sia, si celebra un Piano Nazionale di ripresa e resilienza #NEXT GENERATION ITALIA che riparte più di 200 miliardi di euro (in sei anni) fra diversi progetti. Progetti presentati con parole nuove, che gli anziani faticano a comprendere, ma che nel concreto loro contenuto indicano di fatto investimenti nei diversi settori. Sin qui tutto bene se non fosse che quel piano è frutto di didattica tecnico politica che, se non avesse trovato qualche “ribellione” sociale, sarebbe approdato così com’era a Bruxelles, senza colpo ferire. Ma più ci si approccia ai temi veri che rappresentano il portato di un “cambiamento” più ci si accorge che riti antichi si ripetono. Le promesse espanse per poi accorgersi che l’Italia ha i freni consumati e la frizione un poco bruciata. Occorre ricordare che quando inizieremo ad investire i fondi Europei avremo aumentato il nostro debito oltre il valore complessivo del Recovery, ed i ristori non son finiti, il lavoro dovrà fare i conti con la scadenza del 31 marzo vedi blocco dei licenziamenti, le minori entrate del 2020 e 2021 saranno controllabili?

Gli italici “ragionieri” continueranno così a spiegarci che gli investimenti promuoveranno l’aumento del PIL di percentuali raramente azzeccate. Quel PIL che solo se aumenta può permettere il pagamento dei debiti.

Ma ciò che continua ad essere incomprensibile è come la classe politica possa pensare di vincere una corsa rally con una cinquecento degli anni sessanta. Guardando fuori dalla finestra non si comprende come la classe politica e l’élite economica possa pensare, evocando modelli “Genova”, di riavviare il Paese.

La sanità sarà riformata assumendo personale. La scuola farà la stessa cosa. E così via in tutti i settori balzati all’onore delle cronache quotidiane. Ma in pochi si chiedono perché la sanità in troppe aree del Paese funziona alla televisione con le affermazioni dei Governatori, ma i loro cittadini vivono le difficoltà dell’esodo per farsi curare bene altrove. In pochi si chiedono perché l’OCSE presenta un divario di preparazione culturale e professionale fra nord e sud. La ricerca non ha un proprio ministero e pertanto ciascuno tira l’acqua al proprio mulino, Regioni comprese. La sperimentazione, soprattutto agricola è lasciata al margine della realtà. Ma non preoccupiamoci perché più del 30% dei fondi del Recovery sarà destinato alla Rivoluzione verde. Una bella idea se l’efficientamento energetico fosse collegato all’innovazione di prodotti che l’agricoltura potrebbe offrire. I soldi rimuoveranno le incrostazioni, le difficoltà e i vizi nel nostro Paese? Le risorse verranno spese bene, investite cioè in sviluppo, in opere strategiche e non in spesa corrente? La politica del rigore, nelle parole dei leader, è stata soppiantata dalla politica del tutti a tavola, finchè ce n’è. La politica della spending review non viene più menzionata è considerata archeologia riorganizzativo economica. Nessun risparmi davanti al covid!

E l’agricoltura? L’agricoltura ha la PAC e ogni tanto potrebbe essere riammessa con qualche briciola lasciata cadere dal tavolo del ricco Epulone, e affidandosi a ciò che c’è, AGEA compresa. Un giorno forse incontrerò un Ministro che al di là della propria storia personale sappia promuovere un nuovo modello di Agricoltura.

La formazione e la scolarizzazione agricola mantiene le sue contraddizioni pedagogiche (anche Costituzionali). Ancora fatica la politica a guardare un poco a qualche significativa esperienza europea. Ma si sa, il cambiamento a scuola lo si fa solo acquistando i banchi o sostituendo i libri con i più moderni tablet. Il comune atteggiamento è che le professioni intellettuali sia meglio lasciarle al margine di ogni coinvolgimento, ovvero, se alzano la voce un’audizione non la si nega a nessuno. Del resto il Paese ha perso anche l’allenamento al confronto e al dialogo. Eppure le parole a cui aggrapparsi non mancano: “dalla ricerca all’impresa”, come dire dalla terra alla tavola.

Lo Stato rimane sempre fermo al pit stop del titolo V°, le riforme possono aspettare e lo scontro Regioni e lo Stato si consuma proprio sull’agricoltura dove le risorse europee vengono spese (bene) in alcune aree in altre l’attesa è congenita.

Dobbiamo chiederci, allora, se qualche ispirato politico lungimirante riuscirà a persuadere il Paese che questo Recovery Fund, questa storica opportunità, per far riprendere alla vita una condizione di dignità e permetterci il pagamento del debito privato e soprattutto pubblico. Un impegno che ci aspetta dietro l’angolo che sarà possibile solo se rafforziamo solide fondamenta sulle quali edificare i luoghi antisismici del nostro vivere. Quelle fondamenta sono il nostro modello istituzionale. Quelle fondamenta sono il nostro Stato e i servizi che offre, senza i quali il Recovery Fund alla fine lascerà a tutti un amaro in bocca.

Le risorse ci sono, alcuni progetti anche, lo Stato? I professionisti certamente non faranno mancare tutta, tutta, tutta la loro competenza ed esperienza per dare una mano al Paese.

E soprattutto i professionisti dell’area agroalimentare, i nostri Periti Agrari e Periti Agrari Laureati, consapevoli che il Paese potrà ripartire dai territori, dalle agricolture, dall’ambiente, da una nuova, motivata e appassionata Green Generation, sono pronti alla sfida. Alla politica diciamo alzate almeno lo sguardo alle risorse umane e professionali che l’Italia offre per ripartire.