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LA NUOVA PAC – RECOVERY PLAN RIFORME CORAGGIOSE

 

 Sin dalla sua applicazione la PAC ha rappresentato la trave portante dell’idea, dell’ambizione, della costruzione di una Europa unita e solidale.

Cambiando ad ogni agenda i meccanismi di sostegno alle produzioni e alle imprese la Politica Agricola Comunitaria ha accompagnato i processi di innovazione e sviluppo delle agricolture europee.

Pertanto, quando ci affacciamo “sulla” PAC dobbiamo avere la consapevolezza che le politiche Europee determinano processi di “cambiamento” che nel tempo hanno dimostrato d’essere incisive, pur consapevoli che l’agricoltura, per riformarsi ha avuto bisogno di tempo e di investimenti significativi.

Ma, più che nel passato, la pandemia ha dimostrato come la strategicità dell’agricoltura abbia permeato tutta la società e non solo il comparto settoriale della filiera agroalimentare.

La Pandemia ha dimostrato che garantire la qualità alimentare conferma non solo il valore trainante dell’agroalimentare su tutta l’economia italiana, ma determina anche le condizioni per riavviarne il modello economico produttivo. Ma per sospingere la locomotiva agricola occorre innanzitutto rimuovere una incrostazione datata che da sempre ne rallenta la velocità.

Occorre persuadere la politica e gli operatori del settore che dopo un “conflitto” pandemico non possiamo costruire contraeree e nuove fortificazioni belliche. Come avvenne nel dopoguerra, con una classe politica di spessore riconosciuto, occorre guardare alla società e a quei “Piani” settoriali che innestati in una solida programmazione nazionale ne hanno determinato il riscatto, la ricostruzione e lo sviluppo. Oggi il capolinea di riforma inevase ci chiede di “Costruire” intelligenze, imprese, servizi, lavoro strutturato e non parassita.

Nella difficoltà e complessità del nostro tempo, siamo chiamati a valorizzare il meglio del nostro Paese. Ed allora dobbiamo affermare che per attuare un Recovery Plan agroalimentare dobbiamo intervenire, da subito, sulla scuola e sulle università, non per finanziare il potenziamento del numero di docenti, che da una ricerca della Fondazione Agnelli e INVALSI emerge, se ce ne fosse stato bisogno, che quasi un insegnate su cinque è “incapace”, cioè dovrebbe tornare a scuola anziché fare scuola, e altri due su quattro, presentano lacune talvolta gravi di “incapacità comunicativa e di conoscenza”. Ed allora prima di assumere docenti forse sarebbe utile “riqualificare quelli in servizio.

La “Scuola Tecnica Agraria”, inoltre, non può più essere considerata una dependance degli indirizzi liceali, ma occorre riconoscerle alto titolo professionalizzante per tutto l’agroalimentare italiano e, forse, dovremmo tornare al passato, trasferendo la competenza gestionale sugli ordinamenti al Ministero dell’Agricoltura. Così come andrebbe attuata la Costituzione Italiana (titolo V° art. 117) trasferendo gli Istituti Professionali alle Regioni che dovrebbero “chiamare” le Organizzazioni imprenditoriali ad assumersi la responsabilità d’essere riferimento gestionale dei Professionali. Diventare cioè soggetti di rifermento degli indirizzi dell’orientamento e di riforma dei programmi didattici, certamente qualificati dall’alternanza scuola lavoro (non poche ore di “pratica” ma una permanente sinergia fra Istituti Professionali e Imprese). Per trovare esempi qualificanti non dobbiamo nemmeno cercare oltralpe li abbiamo in casa nostra, vedi Edmund Mach.

Senza uomini, e uomini preparati, non si va da nessuna parte e il rischio di bruciare risorse sull’altare della miopia politica diventa reale. Anche il nuovo Governo sa che senza riforme “strutturali” anche le migliori intenzioni naufragano nel grigiume delle nebbie di un modello produttivo e sociale arrugginito. (Un augurio di buon lavoro coraggioso e lungimirante al Nuovo Governo è dovuto).

E se mettere mano alla riforma della Scuola e dell’Università rappresenta la priorità assoluta per ravviare qualsiasi processo di trasformazione sviluppo del nostro Paese, non possiamo sottacere che l’Italia, soprattutto l’Italia agricola, soffre anche una distonia strutturale che relega le professioni intellettuali (i nostri professionisti Periti Agrari e Periti Agrari Laureati, Dottori Agronomi e Dottori Forestali) ad una grave, responsabile e strumentale marginalità. L’esempio  della convenzione AGEA CAA, è solo uno degli iceberg di incompiute deformazioni e di parassitosi che dal dopoguerra ad oggi hanno ingabbiato: la ricerca, impedendole di coordinarsi con la sperimentazione (120 Istituti Tecnici Agrari con annesse aziende agrarie e migliaia di giovani studenti sarebbero un riferimento già oggi disponibile); il raccordo fra pubblico e privato, delegando soprattutto, anche se non esclusivamente, al privato la ricerca; la destrutturazione dell’assistenza tecnica, consulenza orientata al trasferimento di innovazione alle imprese agricole e per non farci mancare niente il confondere servizi di primo livello con la consulenza. Forse le parole perdono il loro senso se non vengono riempite di contenuto e la sussidiarietà rimane nell’ambito delle aspirazioni inevase, con consolidate e storiche chiusure e autoreferenzialità non siamo nemmeno riusciti a innestare i nostri professionisti nelle scuole e nelle università favorendo una osmosi virtuosa. Fatto ancor più negativo, per decenni, abbiamo confuso informazione con formazione, perpetuando schemi che anziché accelerare innovazione la rallentano e in alcuni casi la disperdono.

Visto che i richiami all’Europa vengono sventolati a piacimento dei singoli interlocutori, accendendo i loro potenti ventilatori, almeno sui principi e sui richiami dobbiamo riconoscere che lo sforzo per “trasferire” competenze e innovazioni l’Europa lo ha fatto.

Il termine consulenza è diventato ormai parte integrante della PAC, ma non principio ispirante le nostre politiche agricole.

La riprova di queste affermazioni la rileviamo quotidianamente quando Governo e Giunte regionali ritengono che le interlocuzioni per costruire idee, politiche, programmi e piani debbano essere circoscritte alle rappresentanze delle imprese e caso mai qualche volta anche alle forze sindacali.

Ed i professionisti??? Qualche tavolo verde non lo si nega mai a nessuno. Così come qualche tavolo tecnico può sempre servire a migliorare l’applicazione delle norme. È così che la PAC orfana del Recovery Fund, oggi circoscritta alla PAC, potrebbe portare il Paese a confondere le politiche green con le politiche di sostenibilità generale che non possono cambiare il colore delle imprese manifatturiere rendendole verdi, avendo forse l’ambizione di renderle solo un poco più pulite, cioè bianche.

L’agroalimentare, pertanto, se vuol guardare al domani con fiducia e speranza, sburocratizzando e modernizzando la nostra pubblica amministrazione, trasferendo innovazione, costruendo un vero modello delle agricolture, dovrebbe essere inserita, con assoluta legittimazione, nel Recovery Plan come azione, programma prioritaria e centrale delle politiche di ripresa e sviluppo. Per questo, al tavolo della costruzione e ricostruzione dell’economia del nostro Paese, il Governo e il Parlamento chiamino anche i Professionisti dell’area tecnico scientifica dell’agroalimentare Periti Agrari, Agronomi e Tecnologi Alimentari, avranno almeno interlocutori liberi da tentazioni di rivendicazione increspate.

Certamente rimarranno sorpresi rilevando che le professioni tecnico agricole hanno molto da dire e molto da dare. Forse scopriranno che il treno dello sviluppo può ripartire ad alta velocità e ad alta capacità, anche e soprattutto grazie al loro apporto.

 

 

                                                                                                              Il Presidente

                                                                                                        Per Agr Braga Mario

 

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