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IL DRAMMA DEGLI ‘ESULI FIUMANI, GIULIANI E DALMATI E LE BARBARIE DELLE FOIBE. NON DIMENTICHIAMO

 

Il 10 febbraio di ogni anno dal 2005 celebriamo il “Giorno del ricordo” al fine di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Così recita la legge n. 92 approvata il 30 marzo 2004.

Una tragedia che ho respirato da quando conosciuto e sposato Marinella ho incontrato suo papà Agostino, detto Gusti (Dettoni) e la sua famiglia.

Orfano di padre trucidato col fratello incomprensibilmente dai nazisti nel 43, con la mamma e i tre fratelli rimasti (il giovane Armino era morto di TBC) lasciarono quelle terre amate e vissute con intenso impegno e passione. I Dettoni, di professione principale macellai, ad Albona era famiglia stimata da tutti, italiani e slavi, (erano loro, gli slavi, che in prevalenza fornivano gli animali da macello), come gli oltre trecentomila italiani, dovettero lasciare tutto, proprio tutto, verso un ignoto che nessuno sapeva dove avrebbe potuto approdare. Furono fortunati in quanto un amico di vecchia data li chiamò a La Spezia a svolgere un lavoro da camionisti. Un lavoro che durò il tempo necessario per ricominciare senza certezze una nuova avventura di lavoro che valorizzasse le loro esperienze. Tutto in quel tempo andava bene per ricominciare. Nello (Lionello) portava su di se l’esperienza militare in Piemonte. Loris il più grande in Germania vittima dell’8 di settembre a mangiare bucce di patate crude, era da poco tornato. Gusti il più giovane (quattordicenne) con la mamma e fedeli dipendenti a tirare avanti una macelleria che forniva privati ed esercito. A fine conflitto, bastò una semplice richiesta delle chiavi della macelleria da parte del comando partigiano di Albona per capire l’aria che tirava. Nello più maturo, (Loris era ancora in Germania) non si fece attrarre nel tranello tesogli quando un partigiano gli chiese quanto avrebbe chiesto d’affitto e consegnò le chiavi della macelleria, le chiavi del lavoro di una vita. Ed ora lasciato case, terreni, macelleria, la comunità, la Chiesa, il borgo  (la vedetta del Quarnero) naufragato il sogno di un progetto ricettivo a Santa Domenica, si trovarono a La Spezia con la sola certezza d’essere italiani vivi.

Furono nella loro tragica sventura, assistiti da fortuna, supportati da un amico di vecchia data, perché a La Spezia arrivò pure quel treno di esuli che i sindacalisti Comunisti non fecero fermare a Bologna, nemmeno per far pisciare bambini e donne, o per dar loro qualche pezzo di pane. Una delle più brutte pagine della nostra storia. Qualcuno imprecò e sputò contro quell’inerme e esausta carovana che partita da Pola portava con se solo l’italianità e il lutto di barbarie vissute. Gusti, spesso, sentendo raccontare la storia di Norma Cossetto ripeteva che avendola conosciuta come maestra, ne tratteggiava i contorni dolci e sereni. Una giovane seria, preparata, rispettata e ammirata e non poteva capacitarsi di come la bestia umana avesse potuto infierire contro quella dolce creatura. Cambiava espressione quando raccontava degli ammarati a Ravni (dicevano fossero 24, lui ne conosceva due). Era bastato un colpo di pistola al primo che era legato ad un masso perché gli altri fossero trascinati nei fondali di uno dei mari più cristallini del Mediterraneo. Il filo di ferro, duro e ben annodato tagliava i polsi e nessuno avrebbe potuto liberarsi. Raccontava con gli occhi lucidi della foiba di Pisino (Pasin), o di quelli trucidati nelle miniere d’Arsia.

Sulla scrivania conservava gelosamente il libro di Padre Rocchi, uno dei pochi a elencare con cognome e nome i circa 7.000 infoibati accertati. La scoperta di altre cavità sotterranee con resti di corpi in Slovenia, pochi anni fa, ci fa comprendere come quella tragedia abbia avuto una portata tragicamente diffusa in tutta l’Istria, Fiume e la Dalmazia. Come abbia colpito tutto un popolo.

Ma non dimenticherò mai l’espressione sofferta, il volto segnato da una memoria amara di  Cesare Trebeschi (Sindaco di Brescia) quando con il Presidente Cepich raccontò come la Chiesa bresciana, guidata da Mons Tredici e molti ambienti cattolici, anche politici (il Comune in prima fila con l’immensa figura di Bruno Boni), si impegnarono per dare una prima accoglienza a più di cinquemila esuli, contro gli attacchi dei Comunisti. Quella comunità ancor solida a Brescia è stata ed è uno dei pilastri dello sviluppo della città e della provincia, esprimendo anche figure di spicco nel mondo dell’economia e delle Istituzioni.

Ma il silenzio storico, in Italia, era nel frattempo calato su questo popolo esule. Nessuna notizia sui libri di scuola, commemorazioni sempre definite fasciste o rimosse dai canali dell’informazione.  I danni della guerra, che vennero pagati alla Jugoslavia con la cessione delle proprietà degli italiani, sono stati indennizzati in tre trance spalmati in  quasi cinquant’anni, con somme pari ad un decimo del loro valore. Parliamo di valore economico non del valore incalcolabile umano e sociale. Quegli indennizzi avrebbero dovuto assopire l’infamia dei trattati di Parigi e Osimo (1975). Venne sventolato il ritorno di Trieste all’Italia come una grande vittoria, trascurando la zona B, passata sotto il dominio della dittatura di Tito. Le tensioni fra Est e Ovest si respiravano a pieni polmoni. Ancora negli anni settanta si potevano verificare alcune scaramucce al confina italo jugoslavo. Gli eserciti si fronteggiavano ad ogni tono che si alzava. Erano passati solo poco più di quarant’anni fa. Ma il fatto ancor più grave per aver voluto oscurare la storia  fu la responsabilità del partito Comunista, fratello di Tito e del patto di Varsavia che riteneva le Foinbe e quell’esodo un giusto effetto contro chi si era messo contro la rivoluzione comunista. Rivoluzione che avrebbe liberato i popoli dalle oppressioni dei fascisti  e dei nazisti. E quel retaggio storico, ancor oggi non è finito, e non mancano occasione perché alcuni intellettualodi ricerchino nella causa ed effetto della dittatura fascista e dei suoi crimini la giustificazione per gli atroci atti compiuti da parte di forze Comuniste Jugoslave contro inermi “Italiani”.

Quanta strada dovrà ancor fare questa Italia per depurare le scorie di una storia che va definitivamente scoperchiata, non per vendetta, non per ritorsione, ma solo perché patrimonio della nostra civiltà e dell’intera umanità.

Quanto dovremo ancora aspettare per rendere onore all’immane sacrificio dei nostri connazionali Istriani, Fiumani e Dalmati, per quel dolore che ancor oggi portano con se, e che non potrà mai essere indennizzato ma solo attenuato riconoscendo il loro tragico sacrificio di italiani, perché italiani, che vivevano in una terra italiana.

E così ci possono aiutare le chiare parole del Presidente Mattarella pronunciate per rendere solido il Ricordo del dramma dei nostri fratelli Istriani, Fiumano, Giuliano, Dalmati.

Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente… Mentre, infatti, sul territorio italiano la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell'oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia … un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave. Un destino comune a molti popoli dell'Est Europeo quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell'ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti".

Una condanna forte chiara quella del Presidente Mattarella: "Non si trattò, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni. Furono perseguitate semplicemente perché italiani.”

Non esiste niente che possa giustificare le foibe. Non esiste niente che possa giustificare lo sradicamento di intere regioni. Ed il silenzio della Storia rappresenterebbe la condanna più dolora per le sofferenze patite da questi nostri italiani.

Ricordare, ricordare, ricordare, aiutare a ricordare, perché si renda giustizia alla storia e perché questo non avvenga mai più.

Ciao Gusti.